Il mistero del calzino spaiato

C’è una questione grave che non riesco mai a risolvere, è il mistero del calzino scomparso.
Per quanto mi impegni, e giuro lo faccio veramente, spesso e volentieri mi ritrovo con i calzini spaiati.
Non ho ancora scoperto come questo succeda, se scompaia in lavatrice, si nasconde nel cassetto oppure se lo mangia la tartaruga. Il fatto è che il conto non torna mai.
Il calzino fuggitivo a volte ritorna, quando ormai avevo perso le speranze e subito ne sparisce un altro. Forse giocano tutti quanti a nascondino e ovviamente a qualcuno tocca cuccare. E’ un problema diffuso, ed è uno dei misteri più misteriosamente misteriosi che inquietano il genere umano.
Ceste di calzini spaiati che, dico io, dicono tutti, pure se fossero andati a finire sotto il letto, dietro i mobili, in un altro bucato, dentro a una scarpa, prima o poi uscirebbero fuori e si riappaierebbero, e invece no: il secondo calzino scompare inghiottito da qualche entità astrale, scompare nel buco dell’ozono....e tentare di interrogare i miei animali domestici ?…magari ne sanno più di quanto possa immaginare.
Qualcuno dice che, lavati in bucati diversi, magari si tingono e uno non li riconosce più come coppia: niente di più falso. I calzini spaiati hanno fogge completamente diversi, e non credo che il bucato cambi loro anche la trama del tessuto, il modello e il disegno.
L’unica soluzione che ho trovato sarebbe quella di comprare tutti i calzini uguali, ma tutti tutti. Così non sarebbero più spaiati, solo ogni tanto qualcuno rimarrebbe da solo, per un po’ di tempo, ma almeno la mattina non impazzirei a vestirmi...

...ma il mistero non sarebbe comunque risolto.

mercoledì 4 novembre 2009

Stralci di diario: un calzino in Abruzzo


4 giugno 2009
Andar via da Coppito…………………
quando proprio non vorresti, quando il tuo spirito ha deciso di tardare a raggiungerti...e allora lo lasci là...
tra la splendida coraggiosa gente con la quale hai scambiato la ricchezza dell’anima, la gratitudine;
tra gli alberi, sentinelle di quella collinetta verde del campo di Murata Gigotti dove rivedi giocare e correre i bimbi che ti hanno tenuto per mano in questi giorni;
negli occhi, nei sorrisi, negli abbracci, negli scherzi dei tanti volontari che danno instancabilmente;
che lasci nel clown che viene dopo di te.

Siamo partiti con la leggerezza nel cuore ma il timore di non essere all’altezza, di sbagliare o di fare poco o nulla ...appariva qua e là anche se cercavi di non farlo venir fuori.

E’ stato sorprendente anche per noi quando il clown, l’inadeguato..., è uscito fuori.
Col suo modo di fare, di essere, con la sua “buffosità”, con la sua stupidità potente e stupe-facente, in un quotidiano che non è più lo stesso e al quale tutti siamo legati.
Ora che l’attenzione mediatica si è impietosamente ridotta ci si è ritrovati in questo enorme campeggio blu che sembra appartenere ad un'altra dimensione.
Inutile perdere più di due giorni per cercare le parole che descrivano ciò che appare ai nostri occhi. Ci siam fermati ad una sola: Surreale.

Migliaia di abruzzesi dal giorno del terremoto dormono lontani dalle proprie case, molti non vogliono più tornaci in una casa. Chissà quanta la paura avvertita per far parlare così finanche omaccioni che nulla sembrerebbero dover temere…
Bimbi che sospendono ogni gioco al frusciar del vento e al picchettare della pioggia.

E allora via...presente...con i tuoi giochi inventati improvvisati richiesti mai apparsi inopportuni e accolti con un sorriso. Con i tuoi colori, con il tuo tacere, con la tua spalla, con le tue bolle che catturano anche gli sguardi più diffidenti e li trasformano sciogliendoli in magia, in musica, in emozioni...arrivando fino all’anima.
Un viso dagli occhi bagnati che fa su e giù mentre ci viene incontro e richiede un abbraccio, farà parte del nostro zaino, insieme a 1000 memorie, quando andremo via.

Come quella di Maria, che insieme alla figlia Valentina si aspettano la visita dei clown dottori nel loro giro tende, ci accoglie e continua a dirmi “non voglio parlarne...non voglio proprio parlarne” ma proprio in quel momento comincia a narrare ricordando lo “sciame”, sorpresi nel sonno e con il tuono del terremoto impresso nella mente.
Quel rumore sordo ha inghiottito, distrutto tutto quello che possedevano e li ha costretti in una casa blè, di tela.
E ancora quelle notti da sfollati, nelle macchine, intorno al fuoco a parlare, a consolarsi, a farsi coraggio.
Poi, dopo tutto questo, arriva finalmente il momento della lucidità e con essa il timore di un futuro instabile.
La gente abruzzese tutta, comincia a domandarsi che cosa succederà davvero domani, e domani?
E poi sempre presente la paura. Paura per le scosse che continuano, di giorno e di notte ma che è soprattutto paura di rimanere bloccati nelle tende, perché ogni scossa ti allontana ogni giorno di più, un po’ di più, dalla possibilità di ritornare a casa. Ogni nuova scossa crea nuova paura perché allarga il senso attuale della precarietà. Fa temere che non finirà più.

Dopo due mesi sono ancora negli accampamenti, otto persone per tenda. Spesso non appartengono nemmeno allo stesso nucleo familiare, e ci sono persino famiglie divise.
Una vita durissima.
Tra il freddo della sera e il caldo soffocante del giorno (quando si ringrazia “meno male che oggi non piove), campare sotto quei teli richiede pazienza. Come pazienti, fieri, dignitosi, silenziosi sono le persone d’Abruzzo. Pacati ma non rassegnati perché la vita continua.
Come tutti gli abruzzesi, ringraziano col cuore per la solidarietà di cui sono stati oggetto, per la vicinanza di tutti.

In tutto questo…il clown. A lui ci si affida, ci si confida, si chiede. Diventa la loro voce, la voce di molti...per narrare ciò che si ha dentro, per tirare fuori, per dire ciò che non vorrebbe essere chiesto. Ma a un clown tra scherzo, fiducia e soavità lo si permette.

E ci si sente, si diventa collante tra coloro che forti ma spersi hanno subito e vivono dentro mille timori, privati della loro “normalità” e i tanti angeli che provvedono per loro.
E lo fa smorzando, addolcendo le regole che si rendono necessarie(!?!) ma che avvolte stridono e graffiano chi ha già patito. Lui può permettersi di ammorbidirle un po’, anche solo con l’ascolto, riportando l’ilarità tra le fatiche e gli sforzi di tutti, ridipingendo i rapporti.
Avvolte bastano la conquista di un paio di scarpe, un vestito nero, di caramelle.
Un ponte, un collante, un mastice...tra le istituzioni, le organizzazioni e la gente...ecco cosa intendevano Leo e Lucia. Il mastice lo abbiamo sentito addosso.

Inizialmente solo gioco, leggerezza. Quella spensieratezza che ha permesso di esserci davvero, di scambiare, di reinventare, di ri-creare.
In un’atmosfera onirica dove non comprendi dove finisce il campeggio e inizia il disagio, dove non riesci a descrivere ciò che vedi, dove tutto è scomparso, tutto è stato portato spazzato via.
Dove noi tutti ci rendiamo conto di toccare qualcosa di prezioso, qualcosa che è emerso dalle macerie. Un grande faro che illumina di un’umanità profonda, vera, desiderosa di contatto. Un faro che abbaglia tutti.
Tutti hanno perso le barriere e sono tutti nudi uno di fronte all’atro. Pelle con pelle, dialogando senza parole.
Comprendo adesso perché in tanti vanno, perché altri restano e in molti ritornano. Si respira l’uomo...Ecco perché questo mal d’Abruzzo che portiamo dentro.

Viene in giorno che abbiamo cercato di fermare. Il passaggio di consegne prima di andar via.
Il giorno in cui vai via dicendo “Ciao”.
Con bimbi e adulti, si crea uno strano legame con loro e ci si sente una responsabilità addosso. In questi giorni si è lavorato sulla figura del clown. È lui che deve esserci non calzino o cianciana o sbrizza o mentuccia, non mascalzone o caciotta. Non quel clown ma il clown.
E’ come se ci fosse continuità tra chi va via e chi arriva, come se l’uno si dissolvesse nell’altro. Era stata nostra attenzione fa capire ai bimbi e adulti, che veloci si erano affidati a noi, che il nostro andar via non doveva essere vissuto con tristezza perché avrebbero conosciuto altri clown più di quanto noi stessi avessimo mai fatto.

Ho vissuto intensamente questo momento quando al campo di Coppito basso di fronte ad una numerosa ciurma di folli colorati che scendeva dalla clownmobile si son trovati i bimbi del campo intenti nei loro giochi. Alla presentazione dei nuovi arrivati: Bianchetto, Petronilla, Baracca e Muesli è partito un primo “no! non li voglio vedere neanche” di Luca e Simone che si rifugiavano tirandoci a loro. Sapevo divertito che non sarebbe durato molto. Tanto il lavoro prezioso fatto da chi ci ha preceduto da far comprendere a tutti quanto da scoprire vi sia in ogni clown da non resistere a frenare la curiosità nell’andarlo a scovare. Ha così risposto l’equipes intera, con il moscerino di muesli, seguita da Petronilla. E Bianchetto e Baracca che calamitavano gli sguardi proprio di Luca e Simone.

Un attimo e Valentina mi ruba il cappello per farmi restare. Ma poi scambia il suo broncio con il fiore che era attaccato al mio baschetto e mi dona in cambio un sorriso.

Io e Mentuccia felici e divertiti, facciamo un passo indietro come coloro che si muovono verso le quinte per lasciare spazio ad un nuovo atto.
Sembra proprio scorrere una porta di vetro satinato che ti porta via. Ancora un attimo per venire accalappiato da una collanina fatta da Jenny “
posso regalarti questa Calzino? L’ho fatta per te! – Davverooooo, per me? E’ bellissima grazie!...Questo è il mio primo naso rosso, tienilo tu. Grazie tesoro, davvero bellissima. Un bacio".
Quella porta adesso si richiude di nuovo ma sembra fatta di plasma...No...sono le mie lacrime...
Via...ehmm è...tardi.
In Macchina c’è una bella euforia per aver fatto breccia, io e Mentuccia viviamo in silenzio questo addio. Dietro un naso rosso c’è sempre l’uomo, che in questo momento non vorrebbe andar via e pianti e saluti sono difficili da mandar giù

Torniamo a casa ma il nostro pensiero si svolge come un’enorme gomitolo rosso il cui capo rimane impigliato al cancello del campo di Coppito.
Sul bus scorrono tutte le sequenze senza ordine di tempo fino arrivare a alle preoccupazioni di domani «ci voleva anche la pioggia ad accanirsi a giugno, prego che smetta».
Il silenzio ha accompagnato il nostro ritorno, adesso il surreale è fuori dalla terra abruzzese.
Ci si sente inadeguati, si sta male, si piange e ci si commuove. Vorresti essere lì. “Senti” il calore di quella luce che chiama. Da bravi clown riconosciamo le nostre emozioni, sbandiamo un po’, vogliamo starci per ritornare.
Ci si stringe, basta solo il silenzio per farsi coraggio. Momenti, ancora una volta, per ricordare.
Poi, dopo tutto questo, pian piano arriva finalmente il momento della chiarezza per il dono che portiamo dentro e la consapevolezza di voler tornare.

Oggi...dico grazie...perchè il desktop del mio computer non è più nero. Lo era da tempo, adesso splende di colori, di sorrisi, di gente, di una terra...che fa tremare dentro.

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