Il mistero del calzino spaiato

C’è una questione grave che non riesco mai a risolvere, è il mistero del calzino scomparso.
Per quanto mi impegni, e giuro lo faccio veramente, spesso e volentieri mi ritrovo con i calzini spaiati.
Non ho ancora scoperto come questo succeda, se scompaia in lavatrice, si nasconde nel cassetto oppure se lo mangia la tartaruga. Il fatto è che il conto non torna mai.
Il calzino fuggitivo a volte ritorna, quando ormai avevo perso le speranze e subito ne sparisce un altro. Forse giocano tutti quanti a nascondino e ovviamente a qualcuno tocca cuccare. E’ un problema diffuso, ed è uno dei misteri più misteriosamente misteriosi che inquietano il genere umano.
Ceste di calzini spaiati che, dico io, dicono tutti, pure se fossero andati a finire sotto il letto, dietro i mobili, in un altro bucato, dentro a una scarpa, prima o poi uscirebbero fuori e si riappaierebbero, e invece no: il secondo calzino scompare inghiottito da qualche entità astrale, scompare nel buco dell’ozono....e tentare di interrogare i miei animali domestici ?…magari ne sanno più di quanto possa immaginare.
Qualcuno dice che, lavati in bucati diversi, magari si tingono e uno non li riconosce più come coppia: niente di più falso. I calzini spaiati hanno fogge completamente diversi, e non credo che il bucato cambi loro anche la trama del tessuto, il modello e il disegno.
L’unica soluzione che ho trovato sarebbe quella di comprare tutti i calzini uguali, ma tutti tutti. Così non sarebbero più spaiati, solo ogni tanto qualcuno rimarrebbe da solo, per un po’ di tempo, ma almeno la mattina non impazzirei a vestirmi...

...ma il mistero non sarebbe comunque risolto.

mercoledì 24 agosto 2011

Il mandala e il cancro: uno scambio con la dottoressa Daniela Respini



Daniela Respini è una psicologa psicoterapeuta psico-oncologa che usa la tecnica della colorazione e creazione del mandala come strumento di supporto  nei suoi interventi psicoterapici.
Ci siamo incontrate sul percorso del mandala e con piacere condivido il nostro scambio d’idee e le sue parole sui risultati ottenuti utilizzando il mandala con pazienti malati di cancro.
I: Allora Daniela, come hai conosciuto il mandala?
Daniela: Direi piuttosto come il mandala ha conosciuto me? Come scrivo nel mio libro l’esperienza mi insegna che niente accade a caso. Il mio incontro con il Mandala avviene in due momenti diversi. Da sempre mi occupo di psico-oncologia, ho sempre lavorato con le persone ammalate di cancro, ed il mio primo incontro con il mandala avviene proprio in un centro di ricerca oncologica  il Lee Moffitt Cancer Institute a Tampa negli Stati Uniti dove ero impegnata in uno studio sulle correlazioni fra alcuni disturbi cognitivi ed alcuni effetti collaterali dei trattamenti antineoplastici. In quell’occasione ho avuto l’opportunità di partecipare ad un workshop sul Mandala, e di visitare  anche un laboratorio di arte-terapia in cui veniva utilizzata la colorazione del Mandala.  Successivamente rientrata in Italia a distanza di qualche mese, un collega mi regala  un album di colorazione di Mandala. Accolsi quel regalo come un segnale che il mio approccio terapeutico aveva bisogno di arricchirsi. Ho cominciato a documentarmi sul Mandala, ed avendo appreso che si trattava di uno strumento spirituale di origine tibetana da lì diversi sono stati i confronti con guide spirituali del mondo occidentale e di quello orientale. È stato uno strumento a me molto utile per i miei percorsi di crescita spirituale.  Ho iniziato a sperimentarlo su di me  come uno strumento ludico e creativo. Man mano che ne scoprivo gli effetti benefici, da un punto di vista psicologico, ho voluto approfondirne le conoscenze. Nell’applicazione di queste tecniche (quali la colorazione e la creazione del Mandala, disegni geometrici e tecnica di meditazione tibetana) mi sono accorta che vengono fuori alcuni elementi che arricchiscono la conoscenza del proprio sé. Il Mandala, per usare alcune affermazioni dei pazienti, “mi porta a pensare su di me, facendomi scoprire delle verità mai conosciute, ma soprattutto facendomi ricordare  che ho un sé”.
I: Quando hai scoperto il valore terapeutico del mandala con i malati  di cancro?
D: Ho iniziato a sperimentarlo sulle persone ammalate di cancro inizialmente  come attività diversionale  all’interno di una sala d’aspetto di un day hospital oncologico. Gli effetti inaspettati di miglioramento del loro stato umorale e la partecipazione sia dei pazienti che dei familiari  mi hanno man mano incoraggiata ad usarlo in terapia sia individualmente che in gruppo. Venivano fuori affermazioni come “colorare un mandala è come osservare parti di me” o espressioni come “da quando coloro questi mandala mi accorgo di vedere più colori attorno a me, è come se improvvisamente mi accorgo anche dei particolari di una foglia, di piante  che non avevo mai visto ma che stavano lì da sempre “, ed ancora  “colorare mi rilassa, mi mette di buon umore recupera la mia parte infantile mi diverte”. La sua efficacia terapeutica veniva confermata dai risultati dei test psicologici che venivano somministrati prima e dopo il trattamento con i mandala,  si notava che  il livello di ansia diminuiva, migliorava il tono dell’umore e  miglioravano le attività cognitive. Nella persona ammalata di cancro a mio avviso valgono gli stessi principi del mandala: centrare guarire e crescere. Il mandala inoltre mira a riportare l’attenzione del paziente su se stesso entrando in contatto con la sua parte sana, una sorta di passaggio segreto che va in profondità restituendo alla persona la sua autonomia. D’altra parte già Jung considerava il mandala  un simbolo naturale di totalità insito nell’uomo, impressosi quale archetipo.
I: Con quali obiettivi è usato in quest’ambito?
D: L’obiettivo primario è quello di aiutare la persona ammalata di cancro a concentrasi su se stessa per trovare un equilibrio interiore e scoprire le risorse personali utili a un migliore adattamento alla malattia e alla terapia. Come  ogni malattia grave la malattia neoplastica altera notevolmente ogni schema mentale compromettendo spesso anche le funzioni cognitive. L’attività di colorazione del mandala si pone come stimolatore: diventa  un allenamento per la mente, perché grazie alla sua complessità cattura l’attenzione del paziente che in quel momento è concentrato nel colorarlo, e trascorre quei momenti ad organizzare i colori all’interno di una figura geometrica , che come il cerchio riattiva le attività cerebrali dell’individuo. Allo stesso tempo, serve a contrastare i pensieri negativi che agiscono sull’interazione fra soggetto e ambiente. Le continue esperienze di sofferenza legate ai trattamenti antineoplastici, portano il paziente a manifestare sintomi depressivi, senso di abbandono, frustrazione e inadeguatezza. Realizzare un Mandala potrebbe essere visto come una sorta di distrazione cognitiva perchè il paziente, man mano che colora, dirige il suo pensiero lontano dalla malattia o dai sintomi legati alla terapia. Ho sempre paragonato il principio del Mandala al percorso del paziente oncologico: entrambi partono da una situazione di caos, mentre l’obiettivo è l’ordine, se stessi. In entrambi all’inizio c'è uno spazio caotico che dovrà prima di tutto essere pulito, poi consacrato, armonizzato ed infine colorato con la buona vibrazione. Il principio della colorazione è quello di aiutare chi colora ad accogliere tutto ciò che può provenire dal momento esterno, malattia inclusa, senza opporvisi e con la piena consapevolezza che è qualcosa che appartiene al mondo esterno e che in nessun modo può divorare o controllare la persona. Non ci sono regole nè performance, ma solo liberazione. Tutto questo porta gradualmente il paziente ad uno stato di  profondo rilassamento e di armonia tra ciò che è la sua  mente e ciò che è il suo corpo,  i pensieri, le immagini, gli stati fisici emotivi tutti contestualmente presenti in dialogo armonioso nel grande Mandala umano che è l'uomo. In questo senso il Mandala diventa dunque una comunicazione in codice diretta alla parte sana di ognuno di noi eludendo la volontà distruttiva del cancro. Uno strumento che mira non a guarire la malattia ma la persona.
I: Quali risultati ha generato questa esperienza?
D: Nella mia esperienza, l’uso del mandala con i pazienti, mi ha dato la possibilità di trovare una nuova via comunicativa che mi permetteva di mantenere l’alleanza e la relazione con il paziente. Un linguaggio nuovo da apprendere  per comunicare in  profondità con il paziente eludendo i checkpoint della malattia,  una sorta di passaggio segreto, che porta al cuore dell’uomo. Se è vero che il paziente deve decidere senza interferenze, è altrettanto vero che il terapeuta deve essere in grado di aiutare il paziente ad esaminare con chiarezza le diverse alternative, proprio perchè competente ed esperto, il mandala è stato per me un ottimo codice di comunicazione.
I: Qual è la difficoltà piu’ grande che hai dovuto affrontare nel proporre il mandala come strumento curativo con pazienti affetti da un male cosi importante?
D: Avendolo proposto in maniera graduale come attività diversionale prima e solo in un secondo momento all’interno di un percorso  psicoeducazionale,  è stato positivamente accolto sia dai pazienti che dai medici del reparto di oncologia. L’applicazione del mandala è stato dall’inizio supportato da valutazioni psicologiche tradizionali che hanno potuto scientificamente dimostrare il miglioramento della qualità di vita delle persone che lo hanno adottato nei loro percorsi psicologici. La difficoltà è stata invece altrove essendo uno strumento fortemente spirituale è stato abbastanza complesso poterne estrapolare la parte religiosa e trasformarlo in uno strumento di terapia.
 
I: Il mandala è utilizzabile con ogni tipo di paziente?
D: L’uso del Mandala nella mia esperienza è stato  ampiamente utilizzato  con il paziente oncologico  sia nella fase attiva  di malattia che in quella avanzata e terminale.  Nella situazione in cui si trovano i pazienti, colorare è come se una forza interna governasse il loro corpo. Con il tempo, l’individuo prova soddisfazione fino a quando la realizzazione del Mandala lo porta ad un momento di gratificazione.
In tal senso si può pensare che il Mandala abbia in sé un potere catartico. Le rappresentazioni simboliche del cielo e della terra in esso contenute si trovano un pò in tutte le religioni: ebbene il paziente riesce ad alienare la sua mente da ogni voce interiore, abbandonandosi al rilassamento profondo, proprio focalizzando lo sguardo su queste forme. Un gioco apparentemente semplice ma in realtà piuttosto complesso, divertente ma nello stesso tempo elevato. Un gioco che mira a stimolare la consapevolezza spirituale, la memoria e le cellule, attraverso il piacevole gioco dei colori. L'obiettivo è riorganizzare la struttura celebrale per aiutare il paziente a ritrovare quell'armonia tra corpo e mente fondamentale per raggiungere la propria autorealizzazione. Nella spritualità, infatti, non può esistere la scissione tra la mente ed il corpo, ed il mandala si pone proprio come un “ponte”, un percorso che mettendo ordine nella struttura celebrare porta anche ad un benessere anche fisico.
I: Proponi il mandala solo ai pazienti o anche ai familiari e al personale medico e paramedico che assiste il malato di cancro?
D: Il Mandala, non è solo uno strumento che viene messo nelle mani del paziente: talvolta viene utilizzato dall’operatore per trovare strategie di prevenzione del burnout. Lavorare con  le persone ammalate di cancro ti pone inevitabilmente davanti a domande sul tuo senso della vita e della morte. Nella mia  associazione, la Mareluce Onlus oltre a tenere laboratori di mandala per pazienti, porto avanti  corsi formativi ed esperenziali  per personale sia medico che non sulla conoscenza del mandala.  Negli anni inoltre in associazione abbiamo sperimentato laboratori di mandala anche con i  bambini figli  di pazienti oncologici per  la fase di elaborazione del lutto.  Dunque possiamo dire che negli anni ho  potuto sperimentare l’applicazione del mandala sia come attività diversionale,  come strumento terapeutico, come strumento utile nel processo di accompagnamento alla morte, per la elaborazione del lutto e come strumento per l’operatore nella  prevenzione del burnout.
I: Quali sono le reazioni delle persone coinvolte al mandala e ai laboratori?
D: Se consideriamo il fatto che le stesse partecipanti ai laboratori di colorazione e creazione di mandala hanno organizzano con l’aiuto della Mareluce una mostra di mandala il cui ricavato va in beneficenza, possiamo dire che il mandala ha indubbiamente un riscontro positivo in ognuna di loro.  Il percorso del mandala inoltre è stato per  loro un opportunità per non avere paura di essere considerati malati cancro, ma addirittura occasione per avere scoperto il loro coraggio e l’amore per la vita in generale partendo dalle cose più semplici. Questo strumento ha lo straordinario potere di rendere migliori. L’attenzione è sempre rivolta al particolare: lì ci siamo noi. Quando decidi di colorare un Mandala, stai lì a contemplarlo, come se da un momento all’altro dovesse scaturire da quei segni un suono o una parola. Istanti, attimi prima di iniziare a colorare. A quel punto, la tua volontà è di rendere quel cerchio il più bello possibile. A volte, però, ti accorgi che più lo colori e più diventa brutto. Colori scuri, pesanti, riempiono il Mandala. È evidente che queste parti scure sono quelle più pesanti del proprio sé. In questa fase emerge in tutta la sua potenza la forza del Mandala: per quanto negative, infatti, queste parti non possono essere eliminate; bisogna invece farle emergere ed organizzarle in maniera tale che non possano più rappresentare una minaccia per l’equilibrio personale.
I: Con quale clima è stato accolto tra gli esperti del settore l’uso del mandala?
D: Negli ultimi anni  la meditazione, un antica pratica spirituale sta riscontrando un notevole successo  in quanto integrata anche  nella clinica psicoterapica. L’obiettivo primario  di questa pratica  è quello di portare l’individuo verso sè stesso di centrarlo più su se stesso. Di recente le teorie psicologiche in particolar modo il Cognitivismo fondendosi con le tecniche di meditazione, hanno portato allo sviluppo di un terzo approccio terapeutico: la Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT), entrambi questi approcci sono stati nel corso degli anni ampiamente applicati al fine di potenziare la salute fisica e psicologica. La mindfulness infatti è stata utilizzata con successo su alcune patologie di origine psicosomatica disturbi quali, psoriasi, disturbi ossessivi compulsivi, disturbi alimentari e malattia oncologica. Diversi studi scientifici riportano dei successi dell’uso delle tecniche meditative con i pazienti oncologici. Da cognitivista l’ho proposto come uno strumento che per i suoi principi poteva adeguatamente rientrare negli approcci della mindfulness . a quel punto non mi rimaneva che dimostrane l’efficacia. Quando infatti l’ho inserito come attività diversionale all’interno della sala d’aspetto del day hospital oncologico per poterne dimostrare l’efficacia, insieme al mio collega abbiamo strutturato un questionario di gradimento,   il 90% dei familiari ed il 78% dei pazienti,  riscontrava nella colorazione dei Mandala un’ attività ricreativa e rilassante. L’applicazione di tale attività è sempre stata monitorata dalla presenza di uno psicologo, così da poterne cogliere gli effetti immediati in ognuno. Nella colorazione del Mandala il malato tendeva a concentrarsi su se stesso e  scopriva inaspettatamente un benessere personale. Questo è stato indubbiamente rassicurante per gli esperti .
I: La tua esperienza è stata raccolta in un testo molto interessante il libro “Il mandala Contro il Cancro” , com’è nata l’idea di questo libro?
D: Nella mia carriera ho sempre scritto di dati scientifici che derivavano dall’evidence based, ma non avevo mai pensato di potere raccontare di un esperienza così intensa. Ad incoraggiarmi è stata la stessa persona che a suo tempo mi aveva regalato quel famoso album di mandala da colorare: il collega Giuseppe Lissandrello. Con difficoltà ho accolto questo invito perche risultava per me difficile trasformare in parole emozioni. Il libro non racconta solo dell’esperienza dei pazienti ma di come insieme abbiamo fatto questo viaggio dentro il mandala. Scrivere della mia esperienza professionale con il mandala è stato un percorso lungo ma un importante occasione  di  ringraziare i protagonisti  per avermi dato l’onore di viaggiare con loro  nel meraviglioso mondo  del mandala.  Nel raccontare le loro esperienze i protagonisti sottolineano che il mandala per loro è stato un occasione per potere riscoprire che non sono solo malattia, esiste una parte sana non raggiunta dal cancro ed è proprio questa grazie a questa parte sana che riusciranno a riprendersi la gestione della loro vita e quindi anche della malattia.
I: Quali sono i tuoi progetti nel futuro rispetto al mandala?
D: I risultati della mia  esperienza mi incoraggiano ad andare avanti innanzitutto nello studio e nella formazione mia personale con il mandala. E  considerato l’effetto positivo  nella qualità di vita delle persone che hanno utilizzato il mandala nel loro percorso psicologico diventa necessario andare ad approfondire l’utilità di questo approccio nel miglioramento della qualità di vita del persona.
Per contattare la dott.ssa Daniela Respini scrivere a mareluce@mareluce.it
per sapere di piu' sulla sua attivita' visitare il suo sito www.mareluce.it

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